Università degli studi di Pavia

 

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Torroni attività di ricerca

PRINCIPALI LINEE DI RICERCA:

La variazione di sequenza del DNA mitocondriale: una prospettiva al femminile dell’evoluzione umana recente

Nella cellula umana quasi tutti i geni (circa 25.000) sono confinati nel nucleo in duplice copia e sono trasmessi in parti uguali dai genitori secondo le leggi di Mendel. I 37 geni del DNA mitocondriale (mtDNA) si trovano, invece, nei mitocondri, organizzati in una piccola molecola circolare di DNA (circa 17.000 coppie di basi). Questa molecola è presente in ogni cellula in centinaia o migliaia di copie ed è trasmessa esclusivamente dalla madre. Il DNA mitocondriale umano è inoltre caratterizzato da un più elevato tasso evolutivo (10 – 20 volte) rispetto al tasso medio dei geni del nucleo. Perciò, la sua variazione di sequenza si è generata lungo linee di radiazione materna esclusivamente per l’accumulo sequenziale di nuove mutazioni. Questo significa che l’mtDNA umano è un archivio molecolare della storia e delle migrazioni delle donne che lo hanno trasmesso alle generazioni successive. Poiché questo processo di differenziazione molecolare è relativamente veloce, e ha avuto luogo principalmente durante e dopo il recente processo di colonizzazione e diffusione dell’Uomo moderno in diverse regioni e continenti, i diversi sottoinsiemi (aplogruppi e sottoaplogruppi) della variazione nell’mtDNA tendono a essere circoscritti a differenti aree geografiche e a differenti popolazioni umane. Quindi l'identificazione molecolare degli aplogruppi, la quantificazione della loro variabilità interna, e l'analisi della loro distribuzione etnico-geografica forniscono dati importanti sull'origine dell'Uomo, sui tempi di colonizzazione di regioni e continenti, e sui processi genetici e demografici che hanno generato le popolazioni moderne.

Il ruolo della variazione di sequenza "normale" dell'mtDNA nell'espressione di malattie/fenotipi

La produzione di ATP mitocondriale mediante la fosforilazione ossidativa è essenziale per il mantenimento delle normali funzione di organi e tessuti e sono note numerose mutazioni del DNA mitocondriale (mtDNA) che, interferendo con la sintesi di ATP, causano serie patologie a trasmissione materna. Le mutazioni patologiche dell'mtDNA identificate finora erano probabilmente le più facili da evidenziare e, secondo molti, rappresentano solo la frazione più estrema di un gruppo molto più ampio di mutazioni che pur essendo "naturali" non sono necessariamente "neutrali". In anni recenti, un ruolo della variazione di sequenza "naturale" dell'mtDNA è stato postulato per numerose altre patologie e fenotipi (compreso il processo di invecchiamento) che mancano di un chiaro pattern di trasmissione, e si è ipotizzato che i genotipi "naturali" dell'mtDNA (che possono essere molto divergenti l'uno dall'altro a causa dell'elevato tasso evolutivo dell'mtDNA) possano modulare l'espressione non solo delle mutazioni patologiche dell'mtDNA, ma anche dei genotipi nucleari. E' opinione comune che per verificare queste ipotesi occorra acquisire nuovi dati sulla variazione di sequenza di questi genotipi mitocondriali, e questi si possono ottenere solo mediante sequenziamento di interi genomi mitocondriali. Il laboratorio sta sequenziando e studiando questi genomi così da creare un database di sequenze che includa sequenze complete per ciascuno degli aplogruppi e sottoaplogruppi mitocondriali presenti nella nostra specie.

Modi e tempi di domesticazione di alcuni mammiferi

Dopo aver sviluppato il primo protocollo per il sequenziamento dell'intero mtDNA dei bovini, recentemente abbiamo dimostrato che non tutti gli mtDNA taurini dell'Europa sono membri del super-aplogruppo T e delle sue sotto-linee (T1, T2, T3 e T5) – cladi che furono domesticati nel Medio Oriente circa 10.000 anni fa e che da lì si diffusero con le migrazioni umane e i commerci. Abbiamo scoperto che circa il 2% dell'mtDNA bovino appartiene a due linee (aplogruppi Q e R), che, almeno per il momento, sono state osservate solo in qualche moderna razza italiana. Potrebbero derivare quindi da popolazioni italiane autoctone di uri (Bos primigenius) che ora sono estinte. Se confermata, la nostra scoperta potrebbe indicare che ci fu qualcosa di peculiare in Italia, o nelle popolazioni di B. primigenius o nelle pratiche di allevamento del Neolitico. L'Italia fu uno dei rifugi europei durante l’LGM, ma l'espansione post-glaciale delle sue popolazioni fu limitata a Nord dalla barriera delle Alpi. Così, è possibile che qualche caratteristica fenotipica unica (es. dimensione o comportamento) degli uri selvatici in Italia possa aver ridotto l'esigenza dei primi agricoltori e allevatori italiani di agire per evitare il loro mescolamento genetico con le mandrie domesticate.
Le stesso approccio genetico è stato utilizzato più recentemente per studiare l'origine genetica del cavallo domestico (Achilli et al. 2012). L'analisi di 83 interi genomi mitocondriali di numerose razze equine (incluso lo Przewalski) hanno permesso l'identificazione almeno 18 linee genetiche ancestrali (aplogruppi), definite ciascuna da uno specifico set di mutazioni e denominate con le lettere dell’alfabeto dalla A alla R. Tutti questi aplogruppi fanno capo a una singola molecola ancestrale esistente circa 140.000 anni fa, durante il periodo glaciale cosiddetto Saale, e da cui derivano tutte le molecole di DNA mitocondriali attualmente presenti nelle razze equine moderne. Le 18 linee sono diffuse in tutte le attuali razze equine, tranne una, denominata F, che è tipica solo ed esclusivamente del cavallo di Przewalski, che di conseguenza, non rappresenta l’antenato dei moderni cavalli.
Diverse specie domestiche, come bovini e pecore, hanno subito un unico evento di domesticazione avvenuto nel periodo neolitico (circa 10 mila anni fa) nell’area della Mezzaluna Fertile. Al contrario, i numerosi aplogruppi riscontrati nelle razze equine moderne indicano che la domesticazione del cavallo, pur essendo avvenuta anch’essa in tempi neolitici, abbia interessato un maggior numero di popolazioni selvatiche localizzate in molteplici aree geografiche di tutta l’Eurasia. Questo studio sembra perfino indicare un possibile sito di domesticazione in Europa e più precisamente nella penisola Iberica, dove i cavalli selvatici non solo sono sempre stati presenti sin dai tempi Paleolitici, ma sono anche sopravvissuti durante l’Ultimo Picco Glaciale - che interessò l’intero continente Europeo circa 20.000 anni fa - probabilmente rifugiandosi nella medesima area Franco-Cantabrica abitata da molte specie animali, compreso l’Uomo.
 
 
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